NOTIZIE GIURIDICHE
E’ possibile il divorzio immediato?
Tutti sappiamo che in Italia è necessario attendere il decorso del termine di separazione personale per avviare il divorzio ma se ricorrono particolari condizioni lo step della separazione può essere scavalcato. La legge sul divorzio del 1970 consente il divorzio immediato solo in particolari condizioni.
Tra queste troviamo la condanna del coniuge per reati particolarmente gravi (anche se c’è stata l’assoluzione per vizio totale di mente) ed il divorzio a seguito di sentenza definitiva di rettificazione di attribuzione di sesso, diversamente da quello che risultava nell’atto di nascita.
Il più frequente caso di divorzio immediato ma anche più difficile da provare è costituito dalla mancata consumazione del matrimonio: non devono, cioè, esservi stati rapporti sessuali tra marito e moglie. Non rileva in alcun modo, invece, la ragione che li ha giustificati, ovverosia se essa sia derivata da malattie o altre motivazioni, oppure se sia connessa a questioni psicologiche o emotive o alla libera scelta dei coniugi.
La prova dell'assenza di rapporti sessuali è interamente posta a carico di chi domanda la cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Per sciogliere immediatamente il vincolo matrimoniale non saranno sufficienti le mere dichiarazioni dei coniugi che potrebbero anche, d’intesa tra loro, dichiarare il falso ma sarà necessario provare la verginità della moglie o l’incapacità del marito ad avere rapporti sessuali (impotenza coeundi), anche con una perizia medica.
In assenza di tali prove, la dimostrazione dell’assenza di rapporti può essere fornita con ogni altro mezzo, anche per presunzioni cioè attraverso l'argomentazione logico-deduttiva.
Gli indizi desumibili dalle testimonianze di persone informate direttamente dalla parte interessata saranno valutate insieme ad altre circostanze obiettive e soggettive.
Anche la lontananza fisica dei coniugi e la mancata coabitazione potrebbe aiutare a dimostrare la mancata consumazione del matrimonio.
Nell’ipotesi in cui i rapporti sessuali si siano solo diradati nel tempo non è possibile addivenire al divorzio immediato senza la previa separazione.
Il bigamo e il suo cuore pazzo
Una sera facendo zapping su Netflix sono incappata in un divertente film dal titolo “Corazon loco”. La trama è così narrata: Fernando è un uomo onesto, devoto ad entrambe le sue due famiglie, ma un errore lo porta ad uno scontro inevitabile. Il film, secondo Netflix, è una commedia demenziale…
In buona sostanza l’uomo onesto del film aveva vive una doppia vita con due famiglie. Egli definisce il suo cuore pazzo (loco) perché sente di poter amare in modo smisurato entrambe le sue mogli. Naturalmente, le mogli sono all’oscuro di tutto. Ad un certo punto succede l’inevitabile ed il corazon loco si rompe…
Sapendo che in Italia la bigamia è un reato, mentre scorrevano i titoli di coda, mi sono chiesta: chissà a quando risale l’ultima sentenza che ha deciso un reato di bigamia. La risposta è stata del tutto inaspettata – la sentenza che andiamo ad analizzare è del 2016 - così come la lettura della sentenza dalla quale emerge che il fatto narrato dal film è del tutto sovrapponibile a quello deciso dal nostro Supremo Collegio. Quindi, la realtà supera la fantasia!
In Italia, come tutti sappiamo, quando ci si sposa si deve avere uno stato civile libero, non si deve avere nessun altro vincolo di matrimonio.
Nelle società in cui non è consentita la poligamia, la bigamia è il reato di chi, già coniugato, contrae un altro matrimonio, o di chi, non coniugato, contrae matrimonio con persona già sposata. Quindi, la legge non punisce soltanto il bigamo, cioè colui che ha due mogli o due mariti, ma anche colui che si sposa con tale soggetto pur essendo libero: si parla, in questi casi, di bigamia impropria.
Recentemente la Cassazione, chiamata a pronunciarsi su un caso simile a quello della trama del film, ha stabilito che fingersi divorziato pur essendo regolarmente sposato e convivente con la propria moglie costa una condanna per sostituzione di persona (Cass. 34800/2016). I giudici, infatti, hanno confermato che in questo caso si è trattato di sostituzione di persona e non tentata bigamia. Il delitto di sostituzione di persona appartiene al novero dei delitti contro la fede pubblica ma ha natura plurioffensiva, in quanto tutela anche gli interessi del soggetto privato nella cui sfera giuridica l'atto (nel caso l'attribuzione del falso stato) sia destinato ad incidere concretamente. E la nozione di vantaggio, come dimostra l'evoluzione della giurisprudenza, va ben oltre il mero concetto di utilità economica.
Per cui secondo la Corte “non si vede per quale motivo possa essere escluso dalla nozione di vantaggio l'avere instaurato o comunque mantenuto per un apprezzabile lasso di tempo una relazione affettiva e di convivenza”. Secondo i giudici il dolo specifico, nel caso esaminato, stava nell’intenzione di mantenere la relazione affettiva. Obiettivo non centrato perché, malgrado gli sforzi, l’aspirante moglie che nel frattempo era in attesa di un figlio al pari della moglie effettiva, scopre tutto. Le carte per le nozze che non arrivano e la presentazione dei suoceri sempre solo annunciata la insospettiscono. Da lì al pedinamento il passo è breve: il bugiardo seriale viene scoperto mentre esce dalla casa coniugale ed il castello cade!
L'adozione del maggiorenne
La Suprema Corte di Cassazione, con la recentissima sentenza n. 7667/2020, ha offerto una nuova interpretazione dell’art. 291 c.c. relativo alla adozione delle persone maggiori di età “svecchiando” la norma per renderla idonea alla disciplina della fattispecie in linea con l’evoluzione della società e dei rapporti familiari che oggi siamo chiamati a tutelare.
Un breve preliminare inciso sul testo normativo in vigore che ha subito, nel corso del tempo, successive modifiche a evidenza dell’importanza dell’adeguamento della materia all’evoluzione sociale.
L’art. 291 c.c. recita: “L’adozione è permessa alle persone che non hanno discendenti legittimi o legittimati, che hanno compiuto gli anni trentacinque e che superano almeno di diciotto anni l’età di coloro che essi intendono adottare.
Quando eccezionali circostanze lo consigliano, il tribunale può autorizzare l'adozione se l’adottante ha raggiunto almeno l’età di trenta anni, ferma restando la differenza di età di cui al comma precedente”.
Sul testo normativo è intervenuta la Corte costituzionale prima con la sentenza n. 557/1988 dichiarando l'illegittimità costituzionale dell’articolo nella parte in cui non consente l'adozione a persone che abbiano discendenti legittimi o legittimati maggiorenni e consenzienti.
La ratio della norma, nel testo ante dichiarazione di illegittimità, si individuava nella esclusiva funzione sostituiva dell’adozione del maggiore di età alla paternità o maternità legittima al fine della trasmissione del nome e del patrimonio.
La medesima Corte Costituzionale è poi ulteriormente intervenuta sul tessuto normativo con la sentenza n. 345/1992 stabilendo che, nel caso di incapacità dei figli di esprimere l’assenso perché interdetti, sia applicabile, per analogia, l’art. 297 c.c., comma II, così estendendo anche a tale caso il potere di valutazione comparativa degli interessi emergenti attribuito dalla norma al Tribunale.
Infine, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della norma nella parte in cui non prevede la possibilità di pronunciare l’adozione allorché l’adottante abbia dei figli naturali riconosciuti minori o maggiorenni capaci e non consenzienti (così come affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 245/2004).
In base alla norma, poiché l'adottato maggiorenne deve avere almeno diciotto anni, l'adottante di conseguenza non potrà avere una età inferiore ai trentasei anni (a pena di nullità).
Nello scenario delineato si innesta la sentenza in analisi nella quale la Corte di Cassazione ha analizzato la compatibilità dell’art. 291 c.c., nella parte in cui non consente al giudice discrezionalità e deroghe al limite del divario di età tra adottante e adottato imposto in 18 anni, con gli articoli 3,10 e 30 della Costituzione con particolare riferimento alla (dovuta) disapplicazione della norma in quanto ritenuta in contrasto con le norme comunitarie e sovranazionali ossia con l’art. 8 CEDU, l’art. 7 della Carta Europea dei diritti fondamentali e l’art. 16 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo. Inoltre, la sentenza ha argomentato in merito alla ritenuta disparità di trattamento nella fattispecie della adozione del minore di età rispetto alla adozione del maggiorenne evidenziando come il giudice – nel caso di adozione del minorenne – possa discrezionalmente superare la questione anagrafica.
Su tale ultimo punto, il Supremo Collegio ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale della norma per ritenuta disparità di trattamento rispetto alla adozione del minore di età evidenziando le differenze tra i due istituti.
Precisamente, mentre l’adozione del minore di età attribuisce agli adottanti la responsabilità educativa sull’adottando oltre ai poteri e doveri che caratterizzano la posizione genitoriale; l’adozione del maggiore di età non implica l’instaurarsi della convivenza familiare e non determina la soggezione del maggiorenne alla potestà del genitore adottivo.
Proseguendo l’analisi delle ragioni di critica alla decisione di merito, la Corte di Cassazione ha concluso per ritenere che l’art. 291 c.c. sia suscettibile di interpretazione conforme alle norme costituzionali mentre ha ritenuto fondato il motivo di critica relativo alla violazione delle norme comunitarie per mancata disapplicazione dell’art. 291 c.c.
La Corte ha ritenuto che l’istituto dell’azione del maggiore di età abbia perso la sua originaria natura di strumento volto a tutelare l’adottante per assumere valenza solidaristica che, seppure diversa dall’adozione dei minori di età, non è immeritevole di tutela. In tale scenario, sempre secondo la Corte, ritenere insuperabile il testo della norma, con rispetto alla differenza anagrafica tra le parti interessate, appare una indebita e anacronistica ingerenza dello Stato nell’assetto familiare in contrasto con l’art. 8 Cedu, interpretato nella sua accezione più ampia riguardo ai principi del rispetto della vita familiare e privata. Secondo la Corte, precludere l’adozione del maggiore di età ritenendo insuperabile l’ormai vetusta ed anacronistica volontà legislativa della differenza minima di età di ben 18 anni costituirebbe espressione di un’interpretazione puramente letterale della norma, preclusa nella fattispecie da argomentazioni di carattere sistematico ed evolutivo.
A sostegno della decisione il Supremo Collegio richiama altresì il contenuto dell’art. 12 delle preleggi la cui applicazione, secondo il giudicante, dovrebbe guidare l’interprete nella ricerca del significato della norma “conforme allo spirito del tempo e della società per cui la norma è destinata a valere”.
Emerge dall’analisi della sentenza il grande sforzo interpretativo della Corte per giungere alla tutela della fattispecie prevista dalla norma ma evolutasi nel tempo, tanto da rendere opportuno un intervento legislativo di adeguamento del sistema alle necessità di tutela della famiglia che siamo chiamati ad affrontare nei tempi correnti.
Influencer marketing e l'Autorità Garante della Concorrenza
Per influencer marketing si intende la capacità di ‘influenzare’ le scelte e di creare un passaparola strategico, in particolar modo sui social network (soprattutto Youtube e Instagram), che amplifica in maniera esponenziale la visibilità di un marchio.
Pur essendo uno strumento a prima vista molto più immediato e ‘semplice’ rispetto alle campagne pubblicitarie tradizionali, l’influencer marketing deve in realtà sottostare ad una regolamentazione in continua evoluzione.
Il primo principio da rispettare è sicuramente quello della ‘trasparenza’. Quando gli autori delle comunicazioni non palesano la finalità promozionale delle loro espressioni danno vita ad ipotesi di pubblicità occulta.
La pubblicità occulta induce in errore i consumatori in quanto, non rendere esplicita la finalità promozionale delle proprie dichiarazioni e potrebbe potenzialmente deviare il comportamento dei consumatori. Pertanto, si configura la pubblicità occulta qualora il messaggio promozionale della comunicazione non sia palese, veritiero e corretto.
Atteso il continuo sviluppo del fenomeno dell’influencer marketing, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) quale autorità competente per l’applicazione del Codice del Consumo, nei suoi vari interventi, ha sottolineato che: “la pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile come tale, affinché l’intento commerciale di una comunicazione sia percepibile dal consumatore” e che “il divieto di pubblicità occulta abbia portata generale e debba, dunque, essere applicato anche con riferimento alle comunicazioni diffuse tramite i social network, non potendo gli influencer lasciar credere di agire in modo spontaneo e disinteressato se, in realtà, stanno promuovendo un brand”.
Recentemente con il provvedimento del 15 marzo 2020, avente ad oggetto la promozione del prodotto Crema Pan di Stelle da parte di Barilla, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha confermato e ampliato gli orientamenti già espressi nel caso Alitalia-Aeffe in tema di influencer marketing (maggio 2019), offrendo importanti spunti sulle regole da seguire per una corretta e trasparente comunicazione pubblicitaria su Instagram.
“Nel “mondo digitale” – spiega l’Autorità – post, tweet, foto e video pubblicati sui social media costituiscono gli strumenti abituali per comunicare il proprio mondo, coinvolgendo emotivamente i destinatari nel proprio racconto. Da qui discende la necessità, nel caso in cui sussista un rapporto di committenza tra il personaggio e il marchio evidenziato, di rendere i consumatori consapevoli del fatto che si trovano di fronte ad un vero e proprio messaggio pubblicitario, e non di fronte ad un racconto spontaneo e disinteressato del vissuto quotidiano del personaggio di turno.”
Anche in questo caso, come nel caso Alitalia-Aeffe, l’Antitrust non ha irrogato sanzioni, accettando gli impegni assunti da Barilla e dai micro-influencer - coinvolti per la prima volta in un procedimento che ne valuta la condotta - per adottare in futuro una comunicazione pubblicitaria più trasparente, idonea a sanare qualsiasi comportamento scorretto.
Dal canto suo, Barilla si è impegnata a implementare linee guida con le regole di condotta precise che dovranno essere adottate dagli influencer con cui stipula accordi commerciali. Le norme prevedono la presenza di dichiarazioni obbligatorie nei post pubblicitari e la possibilità di sanzioni per gli influencer che non si adeguano.
Gli influencer si sono impegnati a segnalare sempre i post pubblicitari e la presenza di prodotti ricevuti dalle aziende usando appositi hashtag (#pubblicitàbrand, #sponsorizzatodabrand, #advertisingband, #suppliedbybrand, #brandgift, #fornitodabrand).
Ma se Barilla o gli influencer non rispetteranno gli impegni presi, il procedimento potrà essere riaperto d’ufficio da AGCM e, in tale caso, si capirà se siamo di fronte a una pubblicità occulta o meno.
Cosa succede quando chiediamo un prestito?
Chiunque chieda un mutuo, un prestito, un fido viene segnalato in Centrale Rischi o CR (Banca d’Italia) e nei SIC (Sistemi Informazioni Creditizie) e così verrà segnalata la sua storia di pagamento di quel debito (che sia positiva o negativa).
Vediamo cos’è e come funziona la Centrale Rischi (CR) e i SIC.
La Centrale Rischi è un archivio gestito dalla Banca d’Italia per finalità di interesse pubblico. In Italia esistono anche altri archivi “centralizzati” sul credito gestiti da soggetti privati e ai quali gli intermediari partecipano su base volontaria. Sono i Sistemi di Informazione Creditizia (SIC).
Questi sistemi sono stati creati per registrare tutta la “storia” dei debitori: dall’apertura di credito ai pagamenti già avvenuti, dalle eventuali morosità all’estinzione definitiva del debito. Sono, quindi, essenziali per far funzionare bene il sistema finanziario, perché permettono agli intermediari finanziari di valutare meglio a chi concedere credito e quanto credito concedere. Capire se e di quanto un soggetto che chiede un finanziamento può indebitarsi significa considerare se il cliente è affidabile, se ha margini per ottenere credito e, senza essere eccessivamente esposto, sarà in grado di restituire con regolarità e puntualmente i soldi presi in prestito.
Nel caso di segnalazione alla Centrale Rischi Centrale (per esposizioni pari o superiori a 75.000,00 Euro) è necessario che la banca invii un preavviso all’interessato, da spedire con raccomandata RR ai sensi dell'articolo 125 del T.U.B. L'informativa è resa unitamente all’invio di solleciti, altre comunicazioni, o in via autonoma.
SIC (Sistema di Informazione Creditizia) sono, invece, società private di raccordo del sistema bancario, che custodiscono i dati di esposizioni relative anche a pochi migliaia di euro (in pratica la fascia che va da 0 a 31.246,00 Euro) e che sono costituite per fornire alle banche e alle finanziarie che vi aderiscono un servizio certamente prezioso, finalizzato a limitare i rischi nella concessione di credito.
Per i SIC le tempistiche di conservazione dei dati sono regolate dal ‘Codice di deontologia e buona condotta dei Sistemi di informazioni creditizie’, consultabile sul sito del Garante della Privacy e introdotto a partire dal 2005, che oltre ai motivi per i quali scatta la segnalazione stabilisce anche i tempi massimi di conservazione delle informazioni nei database.
Più in particolare, le informazioni vengono conservate per:
- 12 mesi dalla data di regolarizzazione in caso non siano state pagate 2 rate (o due mensilità) poi sanate;
- 24 mesi dalla data di regolarizzazione in caso di ritardi sul pagamento di 3 o più rate (o mensilità),
- 36 mesi dalla scadenza del contratto in caso di finanziamenti non rimborsati: ossia eventi negativi non sanati, quali morosità, gravi inadempimenti, sofferenze.
L’aspetto importante è che le banche o le finanziarie possono effettuare la segnalazione di mancato pagamento al Sic solo per ritardi superiori a due mesi o due rate consecutive non pagate. La prima segnalazione deve essere comunicata per iscritto al cliente e agli eventuali coobbligati (ad esempio i garanti) almeno 15 gg prima della trasmissione al Sic, per dar modo al debitore di regolarizzare la sua situazione. La prima segnalazione che avviene senza la preventiva comunicazione è illegittima. Eventuali successive segnalazioni verranno comunicate al Sic nell’ambito delle comunicazioni periodiche degli istituti di credito e delle finanziarie.
Se si tratta del primo ritardo di un finanziamento, la segnalazione viene resa visibile sul Sistema di informazioni creditizie solo in caso di mancato pagamento per due mesi consecutivi. L’Istituto di credito ha l’obbligo di inviare il preavviso in cui informa che la segnalazione relativa ai ritardi verrà resa disponibile sul SIC se non viene tempestivamente sanata. La segnalazione del ritardo viene trasmessa al SIC decorsi 15 giorni dall’invio di questo preavviso. Se si regolarizza subito il ritardo l’informazione non verrà recepita sul SIC di CRIF.
La segnalazione dei ritardi successivi al primo avviene invece mensilmente e anche per una sola rata. In questo caso si riceverà una comunicazione, che può essere allegata e inviata insieme ad altre comunicazioni, in cui vieni informato della segnalazione del ritardo sul SIC.
La segnalazione a un Sic come cattivo pagatore comporta:
- l’impossibilità di ottenere un mutuo, un prestito, un fido di conto corrente o una carta di credito
- se si ha già un fido bancario o una carta di credito, la banca potrebbe decidere di revocare il fido e di chiedere la restituzione della carta (deve essere previsto nelle condizioni contrattuali);
- la banca potrebbe decidere di non aprire un nuovo conto corrente al consumatore, ma non può chiudergli forzatamente quello già aperto in precedenza.
Ci si chiede se la segnalazione di “sofferenza” possa scaturire in modo automatico da un ritardo nei pagamenti all'intermediario. La risposta è negativa in quanto il ritardo nei pagamenti non è una condizione sufficiente per la segnalazione a “sofferenza”: per questa classificazione, l'intermediario deve tenere conto della situazione finanziaria complessiva del cliente.
Per ogni informazione e chiarimento sulle segnalazioni alla CR il cliente si può rivolgere agli intermediari con cui ha il finanziamento.
Si tratta in questi casi di procedure di carattere stragiudiziale che sono volte ad ottenere la modifica della segnalazione eventualmente errata mentre non consentono alcun ristoro dei danni che conseguono alle errate segnalazioni degli Istituti di credito. In questi casi, lo strumento è senz’altro il processo.
Precisamente, in caso di contestazione, il cliente può presentare un reclamo all'intermediario, che è tenuto a rispondere entro 30 giorni. Se l'intermediario non risponde o la risposta non è soddisfacente, il cliente può presentare ricorso all'Arbitro Bancario Finanziario (ABF) che decide sul singolo caso. Il ricorso può essere presentato dal sito dell'ABF e non richiede l'assistenza di un avvocato.
Se si intende segnalare un comportamento irregolare o scorretto da parte di una banca o di una società finanziaria si può presentare un esposto alla Banca d'Italia anche tramite il servizio online messo a disposizione dalla Banca d'Italia medesima nella sezione del sito Servizi al cittadino.
Quando la Banca d'Italia riceve un esposto sulle segnalazioni CR invita l'intermediario a verificare se i dati segnalati sono corretti e, se c'è un errore, a correggerli.
Naturalmente in caso di danno grave e irreparabile a seguito di segnalazione illegittima è possibile percorrere la via giudiziaria attraverso un’azione legale ordinaria oppure d’urgenza. Il presupposto del danno grave e irreparabile a seguito di segnalazione illegittima, è in re ipsa, di talché si potrebbe anche non specificamente provarlo in quanto la illegittima segnalazione è già di per sé foriera di un danno coincidente con la impossibilità di accesso al credito. Gli effetti della segnalazione illegittima sono altresì permanenti ed incidono negativamente sul merito creditizio imprenditoriale, determinando una sorta di reazione negativa a catena del ceto bancario. Costituisce fatto notorio che la segnalazione a sofferenza di un soggetto su iniziativa illecita di un istituto di credito non passa inosservata agli altri istituti che, da quel momento in avanti, sono indotti a ritenere che un ulteriore affidamento e la mancata richiesta di rientro determini un rischio neppure giustificabile rispetto ai vertici aziendali.
L’esistenza del periculum in mora è ravvisabile anche laddove sia intercorso un ampio lasso temporale fra la segnalazione (nel caso di specie anno 2012) e il ricorso cautelare (2019). La distanza temporale non può essere di per sé ostativa al riscontro del periculum posto che una segnalazione a sofferenza potrebbe essere nell’immediato priva di effetti pregiudizievoli per il segnalato, ma in seguito manifestare la propria dannosità, mentre l’illegittima segnalazione alla Centrale dei rischi costituisce di per sé un comportamento permanente pregiudizievole per l'attività economica e la reputazione commerciale di chi la subisce (cfr. Cass. 12626/2010).