NOTIZIE GIURIDICHE
Saranno i nonni a dover pagare il mantenimento al nipote minore?
Abbiamo recentemente trattato su questo canale l’argomento relativo all’obbligo dei genitori di mantenere i propri figli seppure, nel caso già affrontato, per la determinazione del contributo al mantenimento del genitore non affidatario della prole all’interno della separazione e del divorzio.Vedremo invece in questo breve approfondimento in quali casi la legge permette di chiedere agli ascendenti un contributo al mantenimento dei nipoti.Ricordiamo quindi che a mente dell’art. 147 del Codice Civile il matrimonio impone ai coniugi di mantenere, istruire, educare ed assistere moralmente i figli. In realtà questi obblighi trovano fondamento più nella filiazione che nel matrimonio tanto è, appunto, che permangono inalterati in caso di separazione e divorzio.L’art. 148 Codice Civile stabilisce poi il concorso nei detti oneri richiamando il contenuto dell’art. 316 bis Codice Civile che stabilisce l’onere dei genitori di provvedere ai loro obblighi verso i figli in base alle loro sostanze e segue prevedendo che “[…] quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli”.Con la parola “gli altri ascendenti” si intendono i nonni, qualora in vita. L’obbligo previsto dalla Legge si riferisce a tutti e quattro i nonni insieme, ciascuno in proporzione alle proprie capacità. Quindi, la richiesta va avanzata nei confronti sia dei suoceri sia dei propri genitori (così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n 251/2002).Ma in quali casi scatta l’obbligo dei nonni?
La Corte di Cassazione ha individuato i seguenti casi:
– impossibilità oggettiva di provvedere al mantenimento dei figli da parte dei genitori. Ad esempio casi di disoccupazione, assenza di ogni risorsa economica, malattia che rende inabili a produrre reddito;
– omissione volontaria da parte di entrambi i genitori. Questi i casi di abbandono materiale del minore, in cui i genitori non si occupano dei figli;
– omissione anche solo di uno dei genitori, qualora l’altro non abbia i mezzi per provvedere da solo al mantenimento dei figli. Questo è il caso tipico che si verifica in una separazione quando il genitore onerato non paga il mantenimento stabilito dal Tribunale.
Nel giudizio instaurato dal genitore bisognoso oggetto della prova deve essere:
– l’inadempimento dell’altro genitore (volontario o no);
– la propria impossibilità di provvedere al figlio da solo.
Quindi, non è sufficiente il dato oggettivo dell’inadempimento.
Naturalmente la previsione dell’art. 316 bis Codice Civile non ha natura sanzionatoria bensì trova fondamento nella solidarietà familiare e nella necessita di tutelare i figli minori; tra gli ascendenti, poi, l’onere di mantenimento dei nipoti può essere ripartito in proporzione alle rispettive capacità economico patrimoniali, e può assolvere valore anche il mantenimento “indiretto” fornito ai nipoti (si pensi ad es. al caso in cui siano stati accolti in casa a vivere insieme al genitore).
Lo Studio è a disposizione per ogni chiarimento in merito all’argomento trattato.
Questo documento integra un servizio a mero scopo informativo. Non integra e non deve considerarsi un parere legale. albini.eu
Foto di minori sui social network
Genitori, zii e nonni pronti a condividere i momenti di vita dei propri piccoli sui social network. Attimi che vengono fermati e mostrati ad un sempre più ampio e crescente pubblico.
Molto spesso si sottovaluta che, attraverso la condivisione social, le immagini raggiungeranno un numero indeterminabile di soggetti sconosciuti.
Il diritto all’immagine costituisce un’esplicazione del diritto fondamentale all’identità personale, connesso al diritto alla riservatezza, legislativamente tutelato.
Le principali fonti normative poste dal nostro ordinamento a tutela della vita privata e dell’immagine dei minori sono la L. n. 633/41 (legge sul diritto d’autore) che disciplina l’abuso dell’immagine altrui,
prevedendo che il ritratto di una persona non possa essere esposto senza il suo consenso (art. 96 legge n. 633/1941); gli artt. 1 e 16 della Convenzione di New York dei diritti del Fanciullo del 20.11.1989 (ratificata dall’Italia con L. n. 176/1991) e l’art. 10 del Cod. Civ. concernente la tutela dell’immagine dell’individuo, quale interesse del soggetto a che il suo ritratto non venga diffuso e esposto al pubblico.
In particolare la legge sul diritto d’autore stabilisce che il consenso dell’interessato rende lecita la pubblicazione della sua immagine. Se l’interessato è minore d’età il consenso deve essere espresso dai genitori di comune accordo, in applicazione della regola generale sulla rappresentanza del minore (articolo 320 c.c.). E’ pertanto imprescindibile il consenso di entrambi i coniugi per la pubblicazione delle foto dei minori sui social. In caso di contrasto fra i genitori su questioni di particolare importanza, ciascuno dei medesimi può ricorrere al giudice per l’adozione dei provvedimenti più idonei (articolo 316, comma 2, c.c.) e in tema di pubblicazione di immagini o notizie relative minori il genitore può chiedere al giudice l’applicazione di una misura che imponga all’altro genitore il divieto di diffondere l’immagine del minore e addirittura la rimozione delle foto o riprese già pubblicate, nonché, se del caso, chiedere il risarcimento dei danni arrecati al decoro e alla reputazione del minore.
La giurisprudenza, in un’ottica garantista del minore, in recenti pronunce ha affermato che “l’inserimento di foto di minori sui social costituisce un comportamento potenzialmente pregiudizievole per essi, in quanto determina la diffusione delle immagini fra un numero indeterminato di persone che potrebbero essere malintenzionate e avvicinarsi ai bambini dopo averli visti più volte in foto on-line. Come emerge sempre più dai fatti di cronaca esiste poi l’ulteriore pericolo costituito dalla condotta di soggetti che si appropriano delle foto on-line di minori e, con procedimenti di fotomontaggio, ne traggono materiale pedopornografico da far circolare nella rete. Il pregiudizio per il minore è dunque insito nella diffusione della sua immagine sui social network”.
Il riconoscimento del pericolo, insito nella pubblicazione sui social network delle foto dei minori ha, condotto i Giudici, in più casi, a comminare sanzioni in capo ai genitori che, pubblicando le immagini dei propri figli sui portali più seguiti, violino il diritto alla riservatezza e all’immagine personale degli stessi.
Inoltre, gli stessi minori, una volta cresciuti, potrebbero mostrare disaccordo su immagini rese pubbliche dai genitori laddove siano stati mostrati particolari intimi della loro infanzia. Anche in questo caso sussiste il diritto di ottenere il risarcimento del danno per la lesione della propria immagine derivante dalla pubblicazione delle foto da parte dei genitori.
Lo Studio è a disposizione per ogni chiarimento in merito all’argomento trattato.
Quale è il giusto mantenimento per i miei figli?
Una delle domande che mi viene posta più di frequente nell’ambito delle separazioni personali tra coniugi è: quale è l’assegno di mantenimento giusto che devo corrispondere per il contributo al mantenimento di mio figlio?
Come intuibile, la risposta non è contenuta solo in una percentuale di un importo riferito, ad esempio, al reddito mensile percepito in quanto tiene in considerazione ciò che l’art. 147 Codice Civile individua quali “doveri verso i figli” specificati nel dovere di mantenere, istruire ed educare la prole.
Nello specifico il genitore è chiamato a far fronte ad una molteplicità di esigenze dei figli, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all'assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione - fino a quando la loro età lo richieda - di una stabile organizzazione domestica, adeguata a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione.
Tali doveri, in base all’art. 148 Codice Civile, gravano su entrambi i coniugi/genitori i quali sono tenuti ad adempiere all'obbligazione di mantenimento dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo.
Quindi, la norma non detta – e non potrebbe farlo – un criterio automatico per la determinazione dell'ammontare dei rispettivi contributi, costituito dal calcolo percentuale dei redditi dei due soggetti (che finirebbe per penalizzare il coniuge più debole), ma preveda un sistema più completo ed elastico di valutazione.
Invero, il reddito non è neppure l’unico elemento che deve considerarsi nella determinazione del giusto mantenimento in quanto è il patrimonio nel complesso da valutare per la determinazione dell’assegno di mantenimento.
Ulteriori parametri da considerare sono il mantenimento del tenore di vita goduto dal figlio in costanza di matrimonio/convivenza nonché i tempi di permanenza presso ciascuno dei genitori e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti dai genitori medesimi.
Da tenere in considerazione oltre al contributo al mantenimento della prole vi è anche il contributo al pagamento delle spese straordinarie ossia di quelle spese di carattere occasionale ed imprevedibile che si rendono necessarie per i figli.
La migliore soluzione per la determinazione del giusto contributo al mantenimento è quindi il raggiungimento di un accordo tra i genitori.
La determinazione dell’importo dovrà tenere in considerazione che la separazione personale sta riguardando i genitori e non dovrebbe affliggere la vita dei propri figli.
E' un reato l'omesso mantenimento dei propri figli
Sappiamo che nelle ipotesi di separazione e divorzio, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 30 della Carta Costituzionale “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli anche se nati fuori del matrimonio […]” nonché dell’art. 316 bis del Codice Civile “I genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo […]” si prevede che il genitore non affidatario dei figli versi all’altro genitore un contributo al mantenimento della prole.
Ciò in quanto si può cessare di essere un marito o una moglie mentre non si smetterà mai di essere un genitore con conseguente obbligo non solo di mantenere i propri figli ma anche di fornire loro l’istruzione e l’educazione necessaria allo sviluppo della loro personalità proprio come previsto dalla nostra Carta Costituzionale.
L’art. 570 bis del nostro Codice Penale intitolato: “Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio”, tutela i figli nei confronti del genitore che si sottrae agli obblighi economici previsti a suo carico nell’ambito della separazione o del divorzio facendogli mancare i mezzi di sussistenza.
Il reato è procedibile d’ufficio ed ha natura permanente. Pertanto, la dismissione della querela non determina l’estinzione del reato che è, come detto, procedibile d’ufficio.
Lo stato di bisogno dei figli non deve essere dimostrato in quanto si presume in relazione alla loro età e tale stato di bisogno non viene meno neppure nell’ipotesi in cui al suo mantenimento stanno provvedendo l’altro genitore o i nonni. Non sono, infatti, oggetto di indagine dinnanzi al giudice penale le capacità di ogni coniuge a soddisfare i bisogni dei figli.
Tale presunzione può essere superata solo laddove si riesca a dimostrare che il minore disponga di redditi patrimoniali, sempre che non si tratti di retribuzione per attività lavorativa, la quale, anzi, rappresenta prova dello stato di bisogno.
La mancata corresponsione dei mezzi di sussistenza ai figli maggiorenni non inabili al lavoro non integra, invece, il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare.
Naturalmente, l’obbligo di fornire i mezzi di sussistenza viene meno solo nel caso in cui vi sia un effettivo ed assoluto stato di indigenza dell’obbligato. Secondo la Cassazione, l’incapacità economica deve essere “assoluta e deve altresì integrare una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti” mentre non è sufficiente, a tal fine, la semplice indicazione dello stato di disoccupazione dell’obbligato (così Cassazione Penale, Sez. VI, 2 settembre 2014 n. 36636). L’onere della prova di tale stato di indigenza economica grava su chi ha omesso il versamento degli alimenti.
Diritto al parto anonimo
Una recentissima sentenza (Cass. 19824/2020) è tornata ancora una volta a confermare il diritto della madre di mantenere l’anonimato al momento del parto e successivamente per tutto il corso della propria vita.
In base all’art. 30 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000 è stabilito che “La dichiarazione di nascita è resa da uno dei genitori, da un procuratore speciale, ovvero dal medico o dalla ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l'eventuale volontà ella madre di non essere nominata”.
Ancora, in base all’art. 93 n. 2 del Codice della privacy “Il certificato di assistenza al parto o la cartella clinica, ove comprensivi dei dati personali che rendono identificabile la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata avvalendosi della facoltà di cui all'articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, possono essere rilasciati in copia integrale a chi vi abbia interesse, in conformità alla legge, decorsi cento anni [s.n.] dalla formazione del documento”.
Vi è poi l’art. 28 comma VII della L. 184/1993 che disciplina – negandolo – il diritto dell’adottato all’accesso alle informazioni sulla madre biologica qualora la medesima abbia acceduto all’adozione con richiesta di mantenimento del proprio anonimato.
Dall’esame delle norme vigenti emerge quindi la massima tutela del diritto della madre al mantenimento dell’anonimato in occasione del parto e per tutto il corso della propria vita. Il codice della Privacy individua, infatti, in 100 anni il termine oltre il quale – chiunque vi abbia interesse – può richiedere la copia integrale degli atti di nascita.
E quale è invece nel nostro ordinamento la disciplina che tutela la paternità?
Il padre ha l’obbligo di riconoscere il figlio nato al di fuori del matrimonio e, se non lo fa, la madre ed il figlio stesso possono agire in giudizio per vedere riconosciuto il rapporto di filiazione da parte del padre.
Naturalmente, il legislatore non potrebbe spingersi sino a rendere obbligatorio il test del DNA, tuttavia, nell’ambito del processo, l’ingiustificato rifiuto a sottoporsi al detto test genetico individua una presunzione di paternità e, sostanzialmente, la causa è vinta.
Ma perché il padre non può rimanere anonimo, mentre la madre sì?
Secondo la Corte Suprema le situazioni della madre e del padre non sono paragonabili, perché l’interesse della donna a interrompere la gravidanza o a rimanere anonima non può essere assimilato all’interesse di chi, negando la volontà diretta alla procreazione, pretenda di sottrarsi alla dichiarazione di paternità naturale.
La Corte analizza le ragioni dell’eventuale rifiuto alla paternità o alla maternità: il primo (il rifiuto alla paternità) dettato spesso dalla volontà di sottrarsi agli obblighi economici e alle responsabilità che derivano dalla filiazione, interesse questo non degno di tutela; il secondo (il rifiuto alla maternità) collegato invece a ragioni di carattere personale, spesso connesse alle modalità con cui il figlio è stato concepito e ai rapporti con l’uomo, interesse invece degno di tutela perché rivolto a garantire la dignità umana e il rispetto della persona della donna.
In conclusione, a fronte della costante giurisprudenza che afferma l’inesistenza di una discriminazione nelle norme che tutelano diversamente la paternità e la maternità, la sentenza in commento conferma il diritto inderogabile della madre di mantenere l’anonimato in occasione del parto e nel corso di tutta la propria esistenza.