NOTIZIE GIURIDICHE
Il trust e la tutela dei soggetti deboli
Il trust è un istituto giuridico che consente di affidare alcuni beni a un soggetto mantenendoli separati dal proprio patrimonio personale, in modo che siano destinati a una determinata finalità, nell’interesse del beneficiario, o a perseguire uno scopo.
Il trust è stato sviluppato negli ordinamenti giuridici anglosassoni, che presentano significative differenze rispetto al nostro. Il recepimento in Italia della Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985, relativa ai trusts e al loro riconoscimento, ha reso possibile e regolamentato anche nell’ordinamento italiano l’introduzione dell’istituto del trust.
Con il trust un soggetto (settlor) trasferisce uno o più beni ad un altro soggetto (trustee), affinché li utilizzi a vantaggio di un terzo beneficiario (beneficiary) o per il perseguimento di uno scopo. Con il conferimento, il settlor perde in via definitiva la proprietà delle cose.
Soggetto eventuale, che tuttavia frequentemente è presente nei trust è il guardiano, il cui ruolo è quello di verificare la rispondenza dell’operato del trustee con il programma determinato dal disponente e di agire in conseguenza in caso di sua violazione.
I beni del trust, pur essendo di proprietà del trustee, costituiscono patrimonio separato rispetto agli altri dello stesso, escono dal patrimonio del soggetto destinante, ma non si confondono col patrimonio del soggetto gestore. La proprietà del trustee, per i vincoli che la caratterizzano, ha carattere formale ed è finalizzata all’interesse altrui.
Le vicende personali delle parti coinvolte non incidono sulla situazione giuridica dei beni ed i loro creditori non possono aggredire il patrimonio del trust, che così rimane indenne anche in caso di un eventuale fallimento.
I beni “segregati” risponderanno solo delle obbligazioni assunte nella gestione del trust stesso.
Il trust può comprendere beni di ogni tipo: denaro, mobili semplici, mobili registrati, immobili, diritti reali immobiliari, royalties di brevetti, canoni di locazione.
La separazione patrimoniale che caratterizza i beni oggetto del trust consente di evitare che essi possano essere aggrediti dai creditori, sia del disponente (che non ne è più proprietario), sia del beneficiario (che non ne è ancora proprietario), ma anche del trustee, poiché si tratta di beni separati dal suo patrimonio personale.
I beni costituiti in trust possono dunque essere aggrediti solo dai creditori del trust.
E’ importante, però, tenere presente che la separazione patrimoniale è solo una conseguenza della costituzione del trust, e non può mai esserne la ragione. Un trust, per essere valido, deve anzitutto avere una sua finalità (che sia considerata meritevole di tutela dal nostro ordinamento giuridico), e non può mai essere costituito al solo fine di ottenere la separazione patrimoniale, cioè per ragioni di protezione del patrimonio.
Il trust, in considerazione della sua duttilità e dell’effetto segregativo che produce, può essere utilizzato efficacemente a tutela dei soggetti deboli, dove trova uno dei suoi terreni di massima elezione, incontrando comunque un limite nelle norme imperative (non può ad esempio spiegare efficacia contro i principi posti a salvaguardia della successione necessaria dall’articolo 457 del Codice Civile).
L’istituto può servire a tutelare soggetti incapaci quali minori, interdetti, inabilitati, può essere disposto a vantaggio di altri soggetti deboli quali anziani, malati, tossicodipendenti, alcolisti, prodighi. Consente anche di provvedere all’assistenza della persona svantaggiata dopo la scomparsa della famiglia di origine.
La veste di trustee può essere assunta da una persona fisica (genitore, altro parente, coniuge, convivente, professionista di fiducia o altro soggetto) oppure da una persona giuridica o da un’associazione non riconosciuta.
Il trust, quale mezzo di tutela dei soggetti bisognosi di aiuto, trova poi applicazione anche nell’amministrazione di sostegno (abbiamo pubblicato un contributo su questo istituto nel dicembre scorso). Quest’ultima, infatti, introdotta nell’ordinamento dalla L. 9 n. 6/2004, si applica a persone che “per effetto di una infermità o di una menomazione fisica o psichica si trovino nell’impossibilità, anche parziale o temporanea di provvedere ai propri interessi”. La genericità del dettato legislativo lascia spazio ad una amplia applicazione pratica.
Il connubio tra trust e amministrazione di sostegno può costituire una soluzione ottimale di tutela per soggetti colpiti da disabilità.
Come si comprende il trust è caratterizzato da un’architettura complessa e articolata che richiede il massimo scrupolo e competenza da parte di chi la istituisce. E’importante affidarsi a professionisti esperti in materia anche per quanto riguarda la scelta, da parte del disponente, della legge regolatrice del trust in quanto nel nostro ordinamento continua a mancare una disciplina specifica del trust, e ciò rende necessario il rinvio a una legge straniera per la sua regolamentazione.
Lo Studio è a vostra disposizione in merito alle questioni oggetto del presente intervento e, naturalmente, ogni osservazione, domanda o critica sarà ben accetta e utile a migliorare il nostro lavoro.
E se un artista usa come tela la parete del mio palazzo?
Percorrendo le strade delle nostre città ci troviamo frequentemente dinnanzi a palazzi i cui muri sono stati scarabocchiati senza rispetto e senza che a questi scarabocchi possa essere attribuito un senso, sempre più spesso, invece, sui muri dei nostri palazzi troviamo delle vere e proprie opere d’arte che aggiungono invece bellezza alle nostre città.
Parliamo della street art o arte di strada.
Le origini della street art non sono precisamente individuate. Negli anni 70 nelle periferie di New York si inizia ad assistere al primo sviluppo di tale fenomeno socio-culturale ed intorno al 2000 si vede ad una vera e propria esplosione dell’arte di strada grazie, soprattutto, all’ormai famosissimo ed enigmatico artista inglese Banksy.
La street art è protetta dagli articoli 1 (“sono protette ai sensi di questa legge le opere dell'ingegno di carattere creativo … qualunque ne sia il modo o la forma di espressione”) e 2 della L. n. 633/1941 (Legge sul diritto d’autore).
Tuttavia, nonostante la protezione sancita dalle citate norme che tutelano il diritto di autore, nonostante l’esistenza del principio costituzionale che garantisce la libertà di espressione del pensiero (articolo 21 della Costituzione: Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione […]) e nonostante la vigenza dell’ulteriore principio costituzionale che sancisce la libertà dell’arte (articolo 33 della Costituzione: L’arte e la scienza sono libere […]), vi è un forte limite alla tutela delle opere di street art rappresentato dal principio costituzionale posto a tutela della proprietà privata (articolo 42, comma II, della Costituzione: “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”).
Le opere degli street artists vengono, infatti, realizzate su immobili senza che il proprietario dell’immobile interessato rilasci – nella maggior parte dei casi – una qualche autorizzazione alla realizzazione dell’opera e, secondo la legge, il diritto di proprietà privata prevale sul diritto morale dell’autore; di conseguenza, l’autore dell’opera non acquisisce alcuna diritto ad opporsi alla rimozione o la cancellazione dell’opera stessa.
Vi è di più.
Nel nostro paese street artists affermati sono perseguiti penalmente per la violazione degli articoli 639 del Codice Penale “Deturpamento ed imbrattamento di cose altrui” e 635 Codice Penale “Danneggiamento” (recentemente modificato dal Decreto Legislativo n. 7/2016).
Secondo la giurisprudenza, il reato si configura in quanto viene leso l’interesse giuridico protetto, ossia l’estetica e la pulizia del bene da parte di chi non è autorizzato a “sporcarlo”, infatti, capita che ove l’artista intervenga con il suo lavoro su una superficie già imbrattata con lo scopo di abbellirla trovi la legge è dalla sua parte così Cassazione Penale n. 16371/2016.
Al contrario se l’artista di strada è autorizzato a realizzare una propria opera dal proprietario dell’immobile, non si configura, ovviamente, alcun reato.
Recentemente, accade spesso che allo street artist venga commissionata la realizzazione dell’opera da parte della proprietà del bene con lo scopo di aumentare il valore del bene medesimo.
Non tutti gli street artists accettano, anzi, molti di questi artisti restano ribelli, disinteressati al guadagno e quindi alla commercializzazione della loro arte.
Non vi è molta giurisprudenza civile in Italia sul tema street art. In tale quadro, vale la pena di citare il contenuto di una recente ordinanza del Tribunale di Milano (Pest Control Office Ltd contro 24 Ore Cultura Srl – RG 52442/2019 – si tratta della società che gestisce i diritti delle opere di Banky contro la società che ha organizzato presso il MUDEC di Milano la mostra “A VISUAL PROTEST. The art of Banksy”) la quale, nell’ambito di una argomentazione più ampia sulla titolarità di diritti d’autore controversi ha evidenziato come la street art risulterebbe “caratterizzata dalla realizzazione in luogo pubblico di un’opera che implicherebbe in sé per un verso la pubblica e libera esposizione della stessa in rinuncia delle prerogative proprie della tutela autoriale e sotto altro profilo la natura effimera dell’opera stessa, in un contesto ideologico di diretta contestazione del diritto d’autore e/o dei circuiti commerciali propri di tale settore”.
Lo Studio è a vostra disposizione in merito alle questioni oggetto del presente intervento e, naturalmente, ogni osservazione, domanda o critica sarà ben accetta e utile a migliorare il nostro lavoro.
Se vuoi leggere qualcosa di interessante sulla Street Art ti consigliamo il libro di Alessandra Mattanza:
La street art dal punto di vista giuridico è invece trattata da Giovanni Boldon Zanetti:
La rescissione e il garbuglio
Tutti almeno una volta nella vita si saranno riferiti ad un Avvocato definendolo un “azzeccagarbugli”.
Tutti ricorderanno anche che l’azzeccagarbugli è un personaggio dei “I promessi sposi” e precisamente è il soprannome di un avvocato di Lecco, chiamato, nelle prime edizioni del romanzo, dottor Pettola e dottor Duplica (nell’edizione definitiva non c’è il nome ma solo il soprannome). Apparentemente, è un uomo di legge molto erudito e nel suo studio è presente una notevole quantità di libri, il cui ruolo principale è, però, quello di elementi decorativi piuttosto che di materiale di studio. Il suo tavolo invece è cosparso di fogli che impressionano gli abitanti del paese che vi si recano.
Azzeccare il garbuglio significa letteralmente sciogliere il nodo.
Mi piace pensare che uno dei modi per azzeccare il garbuglio da parte dell’avvocato sia la estrema cura delle parole nel significato loro attribuito nel mondo e nel mondo del diritto.
A questo proposito, leggendo i quotidiani e tanti articoli di settori diversi, spessissimo sento parlare di rescissione del contratto intendendo, per il senso di quello che leggo o ascolto, risoluzione del contratto.
Certo, il termine rescissione è molto più affascinante …forse perché suona difficile…però, nella maggior parte dei casi, è un termine del tutto errato!
Azzecchiamo quindi il garbuglio.
In linea di massima, l’ordinamento lascia libere le parti di determinare il contenuto e l’equilibrio economico dei contratti, essendo i privati liberi di utilizzare le risorse di cui dispongono nel modo che ritengono più opportuno. Lo squilibrio economico tra le prestazioni può assumere rilevanza giuridica solamente allorquando la volontà contrattuale si forma in condizioni anomale e più precisamente quando il contratto medesimo viene concluso da un soggetto che versa in una condizione di pericolo o di bisogno, della quale la controparte è consapevole o addirittura tende ad approfittare.
L’ordinamento configura infatti due ipotesi di rescissione: la rescissione del contratto concluso in stato di pericolo e la rescissione del contratto concluso in stato di bisogno (altrimenti detta: rescissione per lesione).
Del tutto diversa dalla rescissione è, invece, la risoluzione del contratto.
Il contratto si risolve quando sopravviene una circostanza che impedisce la corretta attuazione dello scambio programmato dalle parti al momento della conclusione dell’accordo.
Queste sopravvenienze che pregiudicano il normale funzionamento del rapporto contrattuale vengono ravvisate nell’inadempimento di uno dei contraenti; nella sopravvenuta impossibilità di una delle prestazioni oggetto del contratto e nell’eccessiva onerosità sopravvenuta di una delle prestazioni (rimedio operante per i soli c.d. contratti di durata).
Quanto esposto spero chiarisca che parlare di rescissione e risoluzione del contratto è questione molto diversa e che, ad esempio, il grande clamore sollevato dal caso Messi e dalla presunta validità di una “clausola rescissoria” inserita dal giocatore nel contratto con il Barcellona altro non è – probabilmente - una clausola risolutoria inserita nel contratto (regolato probabilmente dalla legge spagnola e non dalla legge italiana) e ciò nonostante la totalità delle notizie pubblicate dai media hanno parlato di clausola rescissoria.
Lo Studio è a vostra disposizione in merito alle questioni oggetto del presente intervento e, naturalmente, ogni osservazione, domanda o critica sarà ben accetta e utile a migliorare il nostro lavoro.
Se avete voglia di rileggere i Promessi sposi vi lasciamo questo link:
Mantenimento dei figli e superamento dell'assegno periodico
Uno dei temi che vengono affrontati con grande difficoltà nel corso della separazione personale tra coniugi è la disciplina del mantenimento dei figli.
Il pensiero più naturale dovrebbe essere quello di tenere presente che i figli devono rimanere estranei allo scioglimento del rapporto matrimoniale e che i loro bisogni dovranno essere soddisfatti secondo gli stessi criteri che venivano adottati nel corso della vita matrimoniale.
La legge stabilisce, infatti, all’articolo 147 del Codice Civile, rubricato “doveri verso i figli”, che:
“Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni […]”.
Al momento della separazione molto spesso il genitore non convivente con la prole digerisce con difficoltà l’obbligo di effettuare un versamento periodico all’altro coniuge per il mantenimento dei figli. Ancora oggi, infatti, nella quasi totalità dei casi, al momento della separazione, il Giudice stabilisce una somma di danaro che il coniuge non convivente dovrà versare periodicamente all’altro coniuge per il contributo al mantenimento della prole.
Si tratta del mantenimento indiretto.
Di mantenimento diretto si è iniziato, invece, a parlare nel nostro ordinamento solo con la riforma di cui alla L. 54/2006 che ha rinvenuto in esso uno strumento per una migliore attuazione del principio di bigenitorialità. Il principio di bigenitorialità è il principio etico in base al quale un bambino ha un legittimo diritto a mantenere un rapporto stabile con entrambi i genitori, anche se gli stessi siano separati o divorziati.
Così, il mantenimento diretto è quella forma di assistenza economica che il genitore separato dà ai propri figli non versando un assegno periodico all’altro coniuge ma provvedendo direttamente a soddisfare le loro esigenze.
In questo modo, il legislatore ritiene di poter conferire piena attuazione al citato principio della bigenitorialità in quanto, in sostanza, con questo tipo di mantenimento, si crea una situazione non dissimile da quella della famiglia all’interno della quale, in base alle sostanze disponibili, si operano le scelte relative ai bisogni della prole.
Questo sistema supera il problema del passaggio del denaro destinato al figlio nelle mani dell’ex coniuge e, di conseguenza, anche le spiacevoli situazioni in cui i minori si trovano privi del contributo del genitore non collocatario solo ed esclusivamente perché quest’ultimo vuole fare un dispetto all'altro. D’altro canto, poiché agli onori si accompagnano anche gli oneri, il genitore non collocatario dovrà effettivamente occuparsi della prole dovendo provvedere direttamente ai bisogni dei figli.
Naturalmente, il mantenimento diretto non è un’automatica conseguenza né dell’affido condiviso né del collocamento paritario, in quanto i genitori hanno la possibilità di optare per il regime di mantenimento della prole più adatto alle loro esigenze.
Di fatto, come detto, il mantenimento diretto è veramente poco utilizzato anche se, di fatto, sarebbe di facile attuazione e potrebbe evitare inutili attriti tra ex coniugi, infatti, se si vuole rispettare la norma è possibile ripartire tra i genitori, al momento della separazione, tutte le spese già esistenti o prevedibili, ciascuna per intero, ma in modo che l’ammontare totale rispettivo sia proporzionale alle risorse. Le spese imprevedibili verranno divise, se e quando si verifichino, nella stessa misura. Tutto qui.
Lo Studio è a vostra disposizione in merito alle questioni oggetto del presente intervento e, naturalmente, ogni osservazione, domanda o critica sarà ben accetta e utile a migliorare il nostro lavoro.
Quando una fotografia è un'opera d'arte?
In questa stramba fine dell’anno, riguardando i post della nostra pagina, emerge che l’incipit è quasi sempre rappresentato da una norma di legge.
Diremmo che è normale, trattandosi di una pagina creata da avvocati.
Quello che risulta però interessante – almeno dal nostro punto di vista – è come all’incipit legislativo segua l’analisi della vita vera che richiede necessariamente l’adattamento della norma al caso concreto.
Quando il mondo cambia, il nostro sforzo, come operatori del diritto, deve essere quello di promuovere il necessario cambiamento della legge affinché essa possa rappresentare l’attualità delle nostre vite.
In questo processo di evoluzione normativo credo possa introdursi il difficile evolversi della tutela nel nostro paese di quella forma d’arte rappresentata dalla fotografia.
Vedremo che anche la tutela attuale offerta dal Legislatore in base alle norme vigenti non è ritenuta perfetta e forse potrebbe essere modificata.
Ma entriamo nell’argomento.
La fotografia è tutelata come opera, sia di carattere creativo che non, dalla Legge n. 633/1941 (cd. Legge sul diritto d’autore) come modificata dal DPR 19/1979.
La Legge Autore opera una distinzione tra la c.d. opera fotografica di carattere creativo protetta dall’art. 2 n. 7) e la semplice fotografia cioè quella priva del carattere creativo protetta dagli artt. 87 e seguenti della norma citata.
In presenza di un particolare grado di creatività (c.d. “qualificato”), la fotografia sarà considerata un’opera fotografica e sarà protetta come opera dell’ingegno ai sensi dell’art. 2 Legge Autore, in presenza di un livello di creatività semplice, la fotografia sarà oggetto (a certe condizioni) di diritto connesso e sarà tutelata ai sensi dei citati artt. 87 e seguenti della Legge Autore; in assenza di un qualsivoglia grado di creatività (ove si tratti, cioè, di mere riproduzioni di oggetti materiali), ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 87 Legge Autore, si avrà una fotografia priva di qualunque tutela.
Quindi, mentre l’opera fotografica è equiparata in tutto e per tutto alle altre opere dell’ingegno (il suo autore gode di tutti i diritti di cui agli artt. 12 e ss. Legge Autore, che durano per tutta la sua vita e fino a settanta anni dopo la sua morte), la semplice fotografia è tutelata tramite un diritto connesso della durata di venti anni.
L’art. 1 della Legge Autore stabilisce che sono protette “le opere dell’ingegno di carattere creativo” ma, nell’ambito della fotografia, come viene determinato il carattere creativo dell’opera?
Si ritiene che per distinguere la fotografia artistica dalla fotografia semplice occorra che nella immagine fotografica si rinvenga una necessaria impronta personale e propria del fotografo.
La particolarità della fotografia è di essere il prodotto di un processo prima meccanico e poi intellettuale. Nel processo intellettuale di elaborazione dell’opera fotografica l’artista sceglie il modo di utilizzazione dell’apparecchio fotografico, l’inquadratura, la composizione, la prospettiva, il taglio dell’immagine, l’esposizione alla luce ed in questo processo creativo inserisce la sua personalità, la sua fantasia, il suo gusto, e le espone nel suo lavoro. Resta escluso dalla valutazione il merito estetico dell’opera.
In sostanza i presupposti per riconoscere ad una fotografia valore di opera d’arte sono i medesimi che devono essere utilizzati per un quadro. La fotografia deve essere l’espressione di un progetto artistico, di uno stile, di un momento creativo.
Il Tribunale chiamato a giudicare l’opera d’arte fotografica si trova di fronte ad un compito non semplice in quanto deve esprimere un giudizio oggettivo (impossibile) sulla creatività. Ciò che sostanzialmente viene richiesto ai fini della protezione autorale è che dall’immagine traspaia la personalità dell’artista e il suo modo di vedere la realtà.
Sulla base del ragionamento che precede, con la sentenza n. 14758/2019, il Tribunale di Roma, ha deciso che la famosa fotografia di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, scattata da Tony Gentile nel 1992, non va protetto come opera intellettuale perché manca l’elemento artistico.
La sentenza è stata oggetto di numerose censure che sono giunte ad evidenziare la attuale difficoltà ad individuare la demarcazione – in questo contesto – tra diritto d’autore e diritto connesso e l’opportunità di concedere la dovuta tutela sia alle opere fotografiche sia alle fotografie semplici laddove queste ultime presentino un minimo di prestazione personale dell’autore.
Lo Studio è a vostra disposizione in merito alle questioni oggetto del presente intervento e, naturalmente, ogni osservazione, domanda o critica sarà ben accetta e utile a migliorare il nostro lavoro.