NOTIZIE GIURIDICHE
Computer crimes: cosa sono? Di cosa si occupa la Polizia Postale?
I reati informatici, o “computer crimes”, possono essere definiti come il risvolto negativo dello sviluppo tecnologico.
Oggi, moltissime sono le attività economiche che nascono e si sviluppano sulla rete.
Pensiamo al commercio elettronico ed ai relativi punti vendita solo sul web ed al trading online. Pensiamo alle operazioni bancarie che oggi possiamo efficacemente eseguire da remoto.
Pensiamo a tutti i documenti che oggi vengono trasmessi in rete.
Pensiamo, infine, al grande sviluppo che ha interessato nel presente momento il lavoro da remoto.
Con il termine "computer crime" si intende un qualsiasi reato che per la sua attuazione necessita dell'ausilio di un computer. In particolare, Un crimine informatico è un fenomeno criminale che si caratterizza nell'abuso della tecnologia informatica sia hardware sia software, per la commissione di uno o più crimini.
La casistica e la tipologia dei reati informatici è in continua crescita ed è piuttosto ampia; alcuni crimini sono finalizzati allo sfruttamento commerciale della rete internet mentre altri crimini insidiano i sistemi informativi di sicurezza nazionale di uno Stato.
A fronte dell’incremento di questo tipo di reati, la Polizia Postale, nata nel 1981 per proteggere la segretezza della corrispondenza via posta, ha iniziato a occuparsi anche di web.
La polizia Postale e delle comunicazioni è un corpo specializzato della Polizia di Stato che si occupa di tutte quelle attività di prevenzione, controllo e repressione degli illeciti penali ed amministrativi rientranti nella vasta materia delle comunicazioni, delle attività criminose aventi ad oggetto Internet ed in generale del crimine informatico.
Tra gli altri, la Polizia Postale combatte i seguenti reati:
- pedopornografia: diffusione del materiale pedopornografico attraverso la rete telematica; acquisto e commercializzazione del materiale illecito; detenzione dello stesso. La Polizia Postale è l’unica delegata all’acquisto simulato di materiale, per scoprire chi si cela dietro un sito contenete immagini pedopornografiche;
- cyberterrorismo: diffusione di virus, malware o comunque di tutti quei programmi che possono ledere la privacy o creare danni economici; attività di hackeraggio;
- download illegale: violazione del diritto di copyright delle opere dell’ingegno attraverso circuiti di condivisione di file (cosiddetti file-sharing) o altri metodi;
- truffe sui conti on line: la polizia postale cerca di impedire le truffe che consentono ad estranei di accedere ai conti di home banking (come avviene, ad esempio, con il phishing);
- giochi e scommesse on line: monitoraggio della rete al fine di scovare siti dedicati al gioco d’azzardo non autorizzato, nel nostro territorio, dal Ministero delle Finanze – Amministrazione autonoma monopoli di Stato;
- tutela del diritto d’autore, in special modo per la prevenzione e repressione degli illeciti e delle violazioni del copyright commesse in internet.
Nel caso riteniate di essere stato vittima di un reato informatico (come il furto dell’identità su un social network; l’utilizzo illecito della vostra carta di credito o di una PostePay; una truffa da un negozio di e-commerce) la velocità nel presentare la denuncia può essere determinante.
La denuncia può essere presentata direttamente dalla persona offesa sia per iscritto sia oralmente avanti agli organi competenti.
Benché l’assistenza tecnica di un avvocato non sia richiesta per la presentazione della denuncia vi sono tecnicismi che – considerata la delicatezza del contenuto di questi atti – rendono consigliabile farsi assistere per evitare di incappare ad esempio a nostra volta nella commissione di reati come la calunnia che si integra allorché nei fatti denunciati viene simulata l’esistenza di tracce di reati in capo a soggetti determinati.
La saggezza del drammaturgo romano Publilio Siro, nato nel 100 A.C., il quale ha sostenuto che “Occorre avere orecchie sospettose quando si ascoltano accuse” suggerisce la medesima conclusione.
Lo Studio è a vostra disposizione in merito alle questioni oggetto del presente intervento e, naturalmente, ogni osservazione, domanda o critica sarà ben accetta e utile a migliorare il nostro lavoro.
Scuola pubblica o privata? In caso di contrasto decide il Tribunale
La scuola è un’opportunità per assorbire nozioni e competenze, sviluppare capacità e talenti e conseguentemente è di grande importanza per il futuro dei nostri figli il momento della scelta del percorso formativo da far loro intraprendere.
L’iscrizione a scuola e quindi la scelta del percorso formativo rientra tra le decisioni di maggiore interesse per i figli e pertanto la medesima va condivisa da entrambi i genitori insieme a quelle incidenti sulla salute e sulla residenza abituale del minore.
In quanto scelte di maggior interesse, è necessario che sussista l’accordo di entrambi i genitori, senza possibilità di deroga, salvo i casi di affidamento esclusivo rafforzato e di decadenza dalla responsabilità genitoriale, nei quali si assiste ad una limitazione o compromissione totale dell’esercizio della responsabilità genitoriale.
Cosa si intende per “scelte di maggior interesse”? Sono tali quelle decisioni destinate ad incidere in modo significativo sullo sviluppo della personalità del bambino, sulla qualità e organizzazione della sua vita, implicando scelte sui valori fondamentali suscettibili di imprimere, alla persona minore di età, un condizionamento anche in futuro.
Non è difficile comprendere, allora, come la scelta di una scuola piuttosto che di un’altra, rappresenti una decisione non certo marginale ma tale da pesare significativamente sullo sviluppo e sulla crescita del bambino e gli argomenti di contrapposizione sono tra i più disparati (scuola pubblica oppure scuola paritaria o privata, scuola laica o ad orientamento religioso, scuola italiana o internazionale..).
Quando la coppia funziona ed è in armonia, la scelta della scuola è espressione del patto educativo che i genitori hanno a cuore per i loro figli.
Se la discussione sul tema scuola riguarda genitori già formalmente separati o divorziati e già dotati di una regolamentazione giudiziale lo strumento processuale da invocare, per dirimere i conflitti sulla scelta della scuola e/o delle altre decisioni di maggior importanza per il bambino, è quello dell’art. 709 ter c.p.c.: in questo caso il Giudice, su ricorso dell’avente diritto, convoca le parti avanti a sé, cerca di metterli d’accordo e, se il tentativo fallisce si sostituisce ai genitori, decidendo al loro posto.
Un recentissimo provvedimento del Tribunale di Roma (decreto del 4.1.2021), stabilisce che in caso di contrasto genitoriale in merito alla iscrizione scolastica dei figli (tra scuola pubblica e scuola privata), in assenza della necessità di salvaguardare la continuità formativa, il Tribunale deve optare per la scuola pubblica italiana, considerata quella che l’ordinamento democratico mette a disposizione per tutti i minori e della quale il giudice deve presumere la capacità di fornire idonea educazione scolastica.
Analoga presunzione, infatti, non può operare con la scuola privata in quanto organizzata non dallo Stato, ma da soggetti diversi, che solo entrambi i genitori possono valutare come positivi per l’educazione dei loro figli.
Se vuoi leggere qualcosa di interessante sul tema dell’educazione ti consigliamo L'Educazione di Tara Westover dove la protagonista crea una storia universale di formazione che mira al cuore di ciò che l’educazione ha da offrire: la prospettiva di vedere la propria vita con occhi nuovi e la volontà di cambiarla. Del resto, la parola educazione deriva dal latino, e-dùcere, letteralmente "portare fuori", e rimanda all'idea di portar fuori le caratteristiche migliori dei bambini affinché diventino dei buoni adulti. In quest’ottica, si tratta della cosa più importante da decidere per la vita dei nostri figli.
Lo Studio è a vostra disposizione in merito alle questioni oggetto del presente intervento e, naturalmente, ogni osservazione, domanda o critica sarà ben accetta e utile a migliorare il nostro lavoro.
La tutela della famiglia europea
La cosiddetta globalizzazione porta con sé la sempre più frequente transnazionalità dei rapporti tra privati e la conseguente necessità che le frontiere nazionali si assottiglino (o eliminino) quando si tratta di tutelare, in particolare, i rapporti familiari nell’ambito dei quali le Leggi devono operare in modo preciso e tempestivo per non vanificare la tutela offerta dai singoli ordinamenti.
Come ha avuto modo di dire la Signora Liliana Segre: “La mia speranza è che un giorno possano nascere gli Stati Uniti d’Europa”.
Ecco, ogni grande progetto nasce grazie all’agire con progressive modifiche e semplificazioni che permettono di rendere possibile una tutela effettiva dei diritti nel loro divenire.
Il Regolamento in commento si inserisce nella delineata prospettiva.
Il 25 giugno 2019, il Consiglio Europeo ha adottato il Regolamento (UE) 2019/1111 che vedrà la sua applicazione a partire dal 1 agosto 2022.
Il provvedimento stabilisce norme uniformi sulla competenza in materia di divorzio, separazione personale e annullamento del matrimonio, nonché in materia di controversie riguardanti la responsabilità genitoriale e la sottrazione internazionale dei minori che presentano un elemento internazionale.
Il provvedimento facilita la circolazione nell’Unione delle decisioni, degli Atti pubblici e di taluni Accordi, stabilendo disposizioni relative al loro riconoscimento e alla loro esecuzione negli Stati membri. Il riferimento agli Accordi (art. 65 del Regolamento) permette il riconoscimento in tutti i Paesi UE degli accordi di negoziazione assistita conclusi ai sensi degli artt. 6 e 12 Legge 162/2014.
Inoltre, chiarisce il diritto del minore di avere la possibilità di esprimere la propria opinione nell’ambito dei procedimenti in cui è coinvolto e contiene altresì disposizioni che integrano la Convenzione dell’Aia del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori («convenzione dell’Aia del 1980») nelle relazioni tra Stati membri.
Il Regolamento si propone di contribuire a rafforzare la certezza giuridica e a incrementare la flessibilità, come pure a garantire un migliore accesso ai procedimenti giudiziari e una maggiore efficienza di tali procedimenti nelle delicate materie oggetto della regolamentazione.
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L’Isola delle Rose: un caso politico e mediatico in mezzo al mare
In una sera invernale mi sono imbattuta nel “L'incredibile storia dell'Isola delle Rose” programmata recentemente dalla piattaforma Netflix e la vicenda mi ha subito incuriosita e affascinata.
La pellicola ripercorre una vicenda tutta italiana a metà tra impresa ingegneristica e sogno utopista.
Tutto nacque dalla mente di un ingegnere bolognese, Giorgio Rosa, nato nel 1925, che progettò nel 1958 di realizzare un isolotto artificiale da collocare al largo della costa di Rimini appena fuori dalle acque territoriali italiane.
La particolare piattaforma marittima venne proclamata nel 1968 Stato indipendente denominato Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose, scatenando l’ira del governo italiano presieduto da Giovanni Leone.
Il contesto di questa vicenda era quello del miracolo economico italiano postbellico, anni in cui fiorivano infrastrutture, autostrade, ponti.
I lavori andarono avanti per anni: prima la posa della piattaforma di circa 400 metri quadrati, fissata con pilastri nel fondale, sotto lo sguardo diffidente delle autorità. Quindi, nel ’66, la richiesta della Capitaneria del porto di Rimini di fermare i lavori. Rosa proseguì imperterrito forte del parere di esperti di diritto internazionale: fuori dalle acque territoriali – si era informato – non vi era giurisdizione dell’autorità italiana.
Oltre all’opinione pubblica la vicenda interessò, tra l’altro, la stampa, il parlamento, il governo, il Consiglio di Stato ed anche le forze dell’ordine, tant’è che l’isola, circa due mesi dopo la dichiarazione di indipendenza del 1 maggio 1968, il 26 giugno, iniziò ad essere presidiata “per ragioni di sicurezza” da polizia, guardia di finanza e carabinieri contro il volere dell’ing. Rosa cui era anche stato vietato lo sbarco.
La piattaforma finì con l’essere gravemente danneggiata per mano degli incursori della Marina Militare nel febbraio del 1969, poi la natura fece il resto: il 26 dello stesso mese venne spazzata da una burrasca e si inabbissò.
Questa è la vicenda accaduta degli anni ’60 in un paese caratterizzato da forti contraddizioni: da una parte le lotte politiche in piazza e le rivoluzioni degli operai nelle fabbriche; dall’altra la voglia di ripartire, la liberalizzazione dei costumi sessuali, lo spirito imprenditoriale e l’idea che per quella generazione di giovani tutto fosse possibile.
La vicenda naturalmente mi ha subito colpito per il riferimento alla disciplina ed alla regolamentazione delle acque territoriali.
Oggi la disciplina e la regolamentazione delle acque territoriali è regolata da alcune convenzioni: la Convenzione di Ginevra sul mare territoriale e la zona contigua del 1958 e la Convenzione di Montego Bay del 1982. La sovranità dello Stato costiero si estende, al di là della terraferma e delle acque interne su una zona di mare adiacente denominata acque territoriali (Ginevra, I,1,1, UNCLOS 2,1). Questa sovranità si estende anche allo spazio aereo sovrastante le stesse e al loro fondo e sottofondo marino. L'ampiezza massima delle acque territoriali è attualmente stabilita in 12 miglia misurate a partire dalle linee di base (UNCLOS 3).
L’Italia ha esteso a 12 miglia il proprio mare territoriale con la Legge 14 agosto 1974 n. 359, ampliando il precedente limite di 6 miglia previsto dall’art. 2 del Codice della Navigazione del 1942. La ricostruzione data dal film sullo spostamento da parte dell’ONU del confine dalle 6 alle 12 miglia delle acque territoriali “per evitare che accadesse di nuovo” una controversia analoga a quella tra Italia e l’isola rappresenta una “ricostruzione romanzata” poiché nel mondo si stabilì di fissare il confine della acque territoriali in 12 miglia con la Convenzione di Montego Bay del 1982, ben 14 anni dopo la vicenda dell’Isola delle Rose.
In buona sostanza, al momento della costruzione dell’isola la medesima si trovava effettivamente al di fuori delle acque territoriali e, quindi, al di fuori della giurisdizione italiana, tanto che la vicenda viene ricordata come (forse) l’unico atto di invasione da parte dell’Italia nei confronti di un organismo straniero.
Le ragioni che hanno determinato l’atto si intuiscono dalla trama della pellicola e nella parodia dei dialoghi politici che hanno portato all’affondamento della Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose.
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Si fa in fretta a dire MI PUBBLICO UNA COVER!
Amo la musica e amo cantare, ho esercitato il mio talento per 10.000 ore (come suggerito nel libro di Malcom Gladwell Fuoriclasse. Storia naturale del successo) ed ora mi sento pronta. Come inizio, ho deciso di specializzarmi nell’interpretazione delle canzoni di Mina, che amo particolarmente. Registro quindi una serie di video nei quali mi presento interpretando le canzoni della mia cantante preferita e decido di pubblicarli su Youtube.
Nel corso dello sviluppo del mio progetto mi imbatto in un amico Avvocato al quale, sorseggiando un cappuccino al freddo sul marciapiedi, racconto il mio progetto.
Dalla sua risposta capisco che il cantante non può solo cantare e che le 10.000 ore di pratica devono comprendere anche la pratica nella promozione corretta del mio lavoro per evitare problemi legali che potrebbero travolgere il mio talento.
Ho deciso quindi di affidarmi al mio Avvocato per partire con il piede giusto nella mia attività.
Anzitutto, il dizionario della nostra lingua, stabilisce che una cover è una canzone reinterpretata da un cantante diverso da quello che l’ha lanciata. Una personale interpretazione che non prevede la modifica né della melodia né del testo originale.
Dal punto di vista legale, le cover possono essere:
• autorizzate: quando si reinterpreta una canzone dopo aver chiesto l’autorizzazione all’autore;
• non autorizzate: quando si reinterpreta una canzone senza richiedere l’autorizzazione. In tal caso, si parla di plagio.
Abbiamo già parlato del copyright (letteralmente diritto di copia) posto a tutela delle opere creative ed in particolare a tutela:
• della paternità dell’opera cioè del diritto di essere riconosciuti come gli autori (ad esempio di una canzone);
• e del diritto di usare l’opera impedendone a terzi l’uso e/o cedendo il diritto di uso della medesima.
Ne deriva che se una canzone è protetta dal copyright, il cantante ha il diritto esclusivo di riprodurre, distribuire, eseguire pubblicamente, mostrare e adattare la sua opera. Questo vuol dire che l’autore è anche libero di autorizzare o meno che altri possano realizzare le cover delle sue canzoni.
Quindi posso pubblicare le cover su Youtube ma per farlo legalmente occorre verificare se:
• l’autore ha dato una licenza o il consenso a fare una cover del suo brano;
• la monetizzazione: cioè se posso guadagnare soldi con il video contenente la cover;
• non c’è nessuna cover policy: cioè non ci sono politiche sulla cover;
• la cover può essere riprodotta in alcuni Paesi e in altri no.
Quindi è possibile pubblicare cover su Youtube, ma occorre pagare i diritti alla Società Italiana degli Autori ed Editori (Siae) oppure alla società di gestione ed ottenere la licenza.
Lo Studio è a vostra disposizione in merito alle questioni oggetto del presente intervento e, naturalmente, ogni osservazione, domanda o critica sarà ben accetta e utile a migliorare il nostro lavoro.
Se ti interessa approfondire il concetto delle 10.000 ore di pratica per la via dell’eccellenza ti lascio il link al libro citato nell’articolo: clicca qui